Il ventunesimo secolo ci ha ormai calato all’interno di un mondo dove l’immagine regna sovrana. Basta fare un breve tragitto dalla propria abitazione fino al nostro luogo di lavoro per imbattersi in una miriade di manifesti, insegne o semplicemente foto digitali che compaiono durante gli scroll dei nostri account social per comprendere quanto l’iconografia sia fondamentale per portare avanti il mercato di tutte le realtà che ci circondano.
La nostra percezione è cambiata, dove prima esisteva la centralità del testo adesso è tutto più veloce, più immediato, più “usa e getta”. C’è da dire però che non è sempre stato così.
Come nella maggior parte degli ambiti anche la comunicazione è cambiata e nei suoi cambiamenti ha sempre portato dubbi e polemiche soprattutto quando le si riconosce la centralità nella cultura, nella visione e abitudini delle persone.
Leggere è osservare, osservare è leggere
Anche il linguaggio per immagini ai tempi in cui ha preso piede ha suscitato i primi scalpori soprattutto quando l’editoria diventa di massa, a partire quindi dalla scoperta della stampa.
Affiancare un’illustrazione a un testo scritto poteva risultare limitante per l’immaginazione come se si volesse dare dei “paletti” ai luoghi e ai personaggi che nascevano nella mente di chi leggeva. D’altronde questa è una prassi dell’integrazione di nuovi linguaggi. Sicuramente a suo tempo anche l’uso della scrittura avrà suscitato le sue polemiche perché l’appuntarsi le cose avrebbe impigrito le menti delle persone che ai tempi avevano senz’altro una memoria di ferro.
È nel corso della storia però che l’illustrazione e il linguaggio per immagini trova i suoi benefici, partendo dall’educazione. Il primo sussidiario illustrato nasce nel 1568 dove per la prima volta il pedagogista Giovanni Comenio affianca alle nozioni scolastiche delle immagini ritenendo che il disegno potesse rendere più semplice la lettura e quindi l’assimilazione dei contenuti. Questo è un fenomeno che ad oggi ci sembra del tutto ovvio ma che fu illuminante e premonitore di tutta una serie di studi che verranno ufficialmente fatti con l’avvento delle scienze cognitive.
Infatti di fronte a questa semplice affermazione ci sono le basi di tutta quella che è l’educazione odierna che trova risposte nello sviluppo del nostro cervello.
Mele, matite e caramelle
A tutti noi è capitato nei primi anni di scuola di risolvere problemi di matematica addizionando mele, matite e caramelle. La necessità del bambino di associare un pensiero astratto, come può essere un numero, ad una cosa concreta deriva dalla mancanza dei lobi frontali che si iniziano a sviluppare in età puberale. È questa parte del cervello che ci permette il pensiero tipicamente astratto. Fino ad allora non riusciamo a percepire pensieri basati su un’astrazione, dobbiamo associarli a qualcosa di concreto, a un’immagine già presente nel nostro database cerebrale.
Tutto questo per dire che il bambino ha bisogno di vedere, toccare con mano e scoprire. La natura gli ha dato una percezione quintuplicata di ciò che lo circonda per stimolargli la curiosità e portarlo a conoscere sempre più cose. Per questo motivo fornirgli delle immagini e creargli dei contesti può essere utile per imparare, apprendere e calarsi ancora di più in una storia.
Attualmente l’utilizzo delle immagini sfrutta questi concetti anche a scopo terapeutico con modelli come la Comunicazione Aumentativa Alternativa che attraverso l’utilizzo di simboli permette di facilitare la lettura a bambini e adulti con Disturbi dello Spettro Autistico. Citare questi tipi di soluzioni terapeutiche è utile perché affondano le basi sulla natura cognitiva di tutti gli esseri umani e la concezione è sempre la stessa: l’immagine aiuta, integra, facilita.
Comunicare ai piccoli adulti
L’editoria ormai è costellata di illustrazioni, in quanto i libri per ragazzi, gli albi e i cosiddetti silent book (ovvero prodotti editoriali che presentano solo immagini) rappresentano un’ampia fetta del fatturato delle case editrici. Questo anche perché in una società liquida come la nostra anche i limiti generazionali iniziano a vacillare e ci ritroviamo anche tanti acquirenti più adulti.
Inoltre i social network ci fanno render conto che la maggior parte di illustratori più influenti utilizzano stili asciutti, infantilizzati e affiancati ad un linguaggio o prodotto più adulto.
Alla base di questa semplificazione c’è senz’altro l’immediatezza della nostra società, dell’era digitale che ci riportano all’inizio di questo articolo.
Ad oggi, e ancora di più dopo l’impigrirsi portato dagli ultimi fenomeni globali, la decodificazione deve essere immediata. In più, sempre per lo stesso motivo, c’è bisogno di leggerezza, di far riscoprire alle persone il proprio bambino interiore, di avere immagini che li riportino in qualche modo indietro nel tempo. Come ci insegna il neuromarketing, la nostalgia è uno dei fattori principali che porta le persone a compiere determinate azioni d’acquisto, per questo motivo smuovere quel bambino che c’è in noi può essere non solo la chiave per avvicinare il proprio target ad un determinato servizio o prodotto ma anche per rendere il mondo un posto più colorato, semplice e leggero.
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